Questo non è un haiku
Yoko Ono. Un nome e adesso anche un aggettivo dello slang inglese (es: "Now we are in this Yoko Ono situation"). Tutti quanti conosciamo la storia di John Lennon e del suo - inspiegabile agli occhi di tanti - amore per la donna giapponese, di ben 7 anni più grande di lui; tutti quanti abbiamo visto la famosa scena dei due coniugi seduti davanti ad un pianoforte bianco, in una stanza dello stesso colore, accompagnato dal ritornello "You may say I'm a dreamer / But I'm not the only one". Ma alzi la mano chi conosce davvero la persona celata dietro l'immagine della portatrice di zizzania, della causa scatenante lo scioglimento di una delle band più importanti e famose della storia. Di chi si tratta, dunque?
Yoko Ono nasce a Tokyo il 18 Febbraio 1933, da padre banchiere e madre pianista, in un contesto borghese destinato a scomparire dopo la seconda guerra mondiale, a causa dell'impoverimento della famiglia, che si trasferì successivamente a New York. Qui, la giovane frequenta l'istituto d'arte Sarah Lawrence College: circondata da pittori e poeti, si lascia trasportare da uno stile di vita parigino. Si ritrova poi a combattere con due matrimoni che si rivelano fallimentari, prima con il compositore Toshi Ichiyanagi e successivamente con Anthony Cox (famoso produttore statunitense), dal quale ebbe una figlia che venne rapita da Cox stesso nel '71, e che riuscì a ricontattare solo nel 1998. Infatti, nel '68 la donna ottenne il divorzio dal produttore e, l'anno successivo, riuscì ad incoronare il suo sogno d'amore sposando l'inglese John Lennon - a sua volta fresco di divorzio dalla prima moglie, Cynthia, a cui era legato già dal 1957. La Ono non deve dunque la sua popolarità al Beatle: era già di fama internazionale quando i due si conobbero - l'incontro avvenne proprio ad una delle mostre di Yoko a Londra.
L'intrigante e intelligente donna giapponese fu infatti una delle prime ad entrare in contatto con l'arte concettuale, di cui è ormai uno dei pilastri fondamentali. Eliminando completamente l'idea del bello visivo e focalizzandosi invece sulla bellezza dell'emozione, le sue opere trasmettono dei messaggi che non tutti sanno, o non vogliono, cogliere. Basti pensare ad uno dei suoi pezzi più famosi, Cut Piece, in cui lei è seduta su un piccolo palco, coperta da una veste, con la gente che può liberamente tagliarne una parte (da qui il titolo), fino a lasciarla del tutto nuda. Non si tratta più dunque di un'arte passiva, in cui l'autore e il resto del mondo sono su due livelli differenti, che entrano in contatto solo attraverso l'opera; è bensì una modalità secondo la quale è il pubblico stesso a completare il lavoro, lasciato volutamente a metà.
Non si tratta però di un'artista monotematica, i suoi lavori non si fermano alla semplicità complessa della performance. Nel 1964, infatti, pubblica la prima edizione di Grapefruit, una raccolta di piccole poesie, consigli e pensieri, composti da non più di un paio di frasi - e, alle volte, neanche quelle: nel libro compare un foglio completamente bianco sotto il titolo Painting to enlarge and see (Dipinto da ingrandire e osservare, nda), o una serie di scarabocchi, intitolati Poem to be read with a magnifying glass (Poesia da leggere con una lente di ingrandimento, nda).
E' dunque l'idea che conta, nell'arte di Yoko Ono, un'idea trasformatasi in puro sentimento, che è difficile da esprimere a parole. Quando ci si ritrova in una stanza allestita con le opere dell'artista - che si tratti di una scala per raggiungere una tela, che pende dal soffitto, con un piccolo yes stampato in minuscolo, o si tratti invece di genuine scritte sul muro fatte col pennarello ("questa stanza evapora lentamente ogni giorno", "non smettere di respirare") - non si può fare a meno di cedere sotto il peso di emozioni troppo forti, che piovono nei polmoni come petali di ciliegio: si sente il bisogno di accovacciarsi sul pavimento, ad occhi chiusi, per percepire meglio l'odore, il sapore e soprattutto il suono che il silenzio della stanza infonde; migliaia di persone si scaldano inconsciamente nel calore di un abbraccio non fisico. Il solo essere completamente risucchiati da un senso di surrealtà crea tra gli osservatori una profonda amicizia immaginaria, infinita, che non può manifestarsi se non solo attraverso sguardi, sorrisi e, nel caso di Wish Tree, bigliettini su cui vengono espressi i propri desideri, appesi accanto a quelli di uno sconosciuto sul ramo di un albero.
"Non puoi odiare ciò che non conosci", dicevano spesso John e Yoko: potrebbe essere un punto di partenza per abbassare le torce e i forconi che ribollono di rabbia e odio nei confronti di questa donna, artista prima di tutto, che nonostante la fama ottenuta nel corso del tempo, rimane sconosciuta ai molti, come un viso senza lineamenti, una voce senza suono, un corpo formato solo da etere evanescente.